venerdì 18 dicembre 2015

Marzio Babille, un testimone della tragedia che sta cambiando il nostro mondo: la fuga dall'Isis.

Marzio Babille, direttamente dal fronte della fuga dall'Isis, dove l'azione umanitaria si sviluppa tra gli itinerari delle azioni belliche e dell'esodo delle popolazioni: incontro all'Auditorium Fogar, eccezionale e lucidissima testimonianza sulla situazione tra Iraq e Siria, tra contesti locali e politica internazionale, tra paure dell'Occidente e abilità a sfruttarle dell'Isis, tra tecnologie avanzate e nuova legge sulla schiavitù, tra organizzazione degli interventi umanitari e assenza di un vertice internazionale sulla pace.


di Martina Luciani

Il pubblico che ha partecipato all'incontro intitolato
"Emigrazioni: da dove e perchè"
, all'auditorium Fogar, ieri sera, non ha perso una parola di Marzio Babille. Il medico che ha lavorato e lavora per Unicef, Onu e Farnesina, non è solo un uomo competente, coraggioso e perfettamente coerente con il giuramento che rende la sua professione una missione al servizio dell'essere umano; è anche un informatissimo interprete degli eventi con il dono di farci comprendere, senza lusinghe di alcun tipo e senza fascinazioni polemiche, una situazione di estrema complessità.
Impossibile dar conto di tutto, scelgo la via degli appunti e annotazioni, chiedendo perdono al dottor Babille se non rispetto per necessità di sintesi l'originaria struttura dell'intervento.

La guerra in Siria, se non la si ferma, durerà almeno altri dieci anni. Costituisce un vero e proprio cambio d'epoca: è una guerra che determinerà un impatto enorme sulla nostra economia e la metamorfosi delle nostre regole e abitudini di coesistenza. Cambierà il nostro stesso modo di vivere, avremo vicini di casa che provengono da altri Paesi: di fronte a questa evoluzione, sono richieste ai singoli e alle comunità, in egual misura disponibilità e vigilanza.
Alcune osservazioni di carattere storico-politico, sullo sfondo dei 50 / 60 milioni di persone in movimento nel mondo, 8 milioni soltanto negli ultimi mesi.
Lo stato islamico è un'agenzia, una compagnia economicamente quotata.

Il "formato" è bianco e nero, più nero che bianco, sempre più spesso nero assoluto: quanto più le azioni di Isis sono crudeli e altisonanti tanto maggiore è l'impatto sull'Occidente ed anche, purtroppo, su una speciale categoria, quella dei giovani europei musulmani che vanno poi ad ingrossare le fila della galassia di combattenti di ogni nazionalità.
La piattaforma informativa di Isis fornisce immagini ma non spiegazioni: niente processi intellettuali, le peggiori paure del mondo occidentali sono semplicemente riflesse in uno specchio.
Il sistema Isis associa le tecnologie più avanzate, le armi più sofisticate ad una spietatezza primitiva: un mix potente, che si estende in maniera trasversale dall'Iraq ad altri paesi in modo da indirizzare ad una congiunzione globale i gruppi che mirano all'islamizzazione del mondo. Ciò cui dobbiamo porre una particolare attenzione interpretativa è uno slogan, il temibilissimo " ogni resistenza è inutile".
Questo è, in qualche modo, il grido guerresco del Califfato, uno stato che è la trasposizione di un'idea, e come tale esiste anche senza confini.  Gli bastano i presupposti, quelli esistenti e strumentalizzati e quelli via via determinati:  il conflitto mortale tra sunniti e sciiti, la tragedia delle minoranze etniche e religiose, la povertà, la mancanza di servizi essenziali, il bassissimo tasso di scolarizzazione, gli abusi sui minori e sulle donne, le semine mancate nel 2014 e quindi l'assenza di raccolti quest'anno, il riscontro dei primi sintoni di denutrizione tra i bambini, l'incendio dei pozzi petroliferi, il controllo delle dighe che determinano la sopravvivenza delle pianure, la legittimazione del matrimonio con le bambine a partire dai 9 anni. Persino la schiavitù è stata ripristinata come requisito dello Stato, e nel momento in cui i prezzi dei prigionieri calano, e determinano una contrazione dei finanziamenti bellici, si promulga una legge che stabilisce nel dettaglio, per fasce d'età, il prezzo delle donne e dei bambini.
Come si muovono le organizzazioni umanitarie ( a fronte di una contrazione molto importante di risorse): realizzano l'impossibile con tempi velocissimi.
Obiettivi definiti e progressivi: salvare vite innocenti, ristabilire l'economia familiare, ricostruire le comunità assicurando tanto i servizi essenziali quanto il rispetto dei diritti umani, a cominciare da quelli dei bambini e delle donne. Tutto ciò con una organizzazione cui prendono parte in maniera determinante le ONG locali, e quando serve le scorte armate ( il supporto militare curdo è fondamentale),  e che opera tenendo conto di tipologie di profughi e sfollati molto diverse tra loro. Prendendo in considerazione le esigenze relative a numeri che vanno da poche migliaia ad alcune centinaia di migliaia di migranti, ci sono quelli che si raggruppano nei campi, quelli che creano piccole comunità insediandosi in edifici abbandonati, quelli che restano in movimento e continuano a vagare ( nel 2014 ne sono stati raggiunti 160 mila), quelli che raggiungono zone remote e là si accampano. Un universo mobile, da cui in parte defluiscono quelli che, economicamente meglio forniti, tentano di raggiungere l'Europa. Una parte si avvia sulle rotte carovaniere dei paesi ex Urss, altra parte si muove attraverso la ben nota rotta balcanica ( nelle ultime tre settimane, 125 mila persone sono passate dalla Turchia alla Grecia): un calvario, dove ad ogni tappa i migranti perdono un pezzo, lungo la quale sono taglieggiati e vessati, spesso letteralmente intrappolati senza poter avanzare o retrocedere.
Un'altra parte ancora sceglie itinerari che si prolungano con tortuosi e sconfinati giri fino in Mauritania per poi dirigersi nuovamente verso il Mediterraneo e l'Europa attraversando il Mali, il Niger, la Turchia, la Libia, la Tunisia.
Informazione importantissima per chi opera nel volontariato dell'accoglienza: per sua natura la migrazione è mobile, anche coloro che vediamo giungere a Gorizia sono parte di dinamiche in flusso continuo, di gruppi che si scompongono e ricompongono, di relazioni che si spezzano e tendono a ricomporsi non importa dove.
In Kurdistan oggi c'è un milione  e 300 mila profughi fuggiti dall'Iraq: solo il 50 per cento sta nei campi, una famiglia locale  su 4 ha accolto fuggiaschi in casa propria.
Servono risorse.  Per gli interventi umanitari, per non far chiudere ospedali e scuole,
Serve una responsabilità nuova da parte dei governanti, un cambio di prospettiva da parte dei grandi sistemi internazionali che devono focalizzare l'attenzione sui singoli individui e sulle famiglie. Serve, in una dimensione più circoscritta, per un verso ridisegnare i confini nazionali nel Medio Oriente e per l'altro verso favorire il rientro delle persone nelle zone liberate, dove regna l'assoluta devastazione e senza interventi della cooperazione internazionale sarà impossbile  ricostruire l'economia e le comunità.









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