martedì 2 agosto 2016

Storia triste dell'esperienza referendaria in Friuli Venezia Giulia. Due date: 1991 e 2010.

Nella nostra regione si cominciò ad utilizzare lo strumento referendario in senso abrogativo nel 1991. Andò male, non si raggiunse il quorum. Nel 2010 cominciò l'impudico esercizio della non ammissibilità da parte del consiglio regionale delle richieste referendarie. Pratica di non democrazia che si è replicata ai giorni nostri, con la pronuncia di innammissibilità di quattro richieste. Forse è giunto il momento di discutere, anche nelle opportune sedi dell'Unione Europea, se sia rispettoso dei diritti dei cittadini il fatto che in FVG ( ma non solo da noi) chi decide sull'ammissibilità dei referendum chiesti dai cittadini è lo stesso soggetto che produce le norme di cui si chiede l'abrogazione. 


di Martina Luciani

Risale al 1991 la proposizione di ben sei quesiti referendari abrogativi in materia ambientale (gestione dei rifiuti, impatto della viabilità, caccia etc).
Il referendum non raggiunse il quorum, ma si trovano in rete, sul sito dei Radicali del Friuli Venezia Giulia, una serie di documenti che è utile leggere. Per rendersi conto che da allora ad oggi, non abbiamo corretto il tiro in materia di tutela ambientale e agli abusi/errori/disastri/ di allora si sono aggiunti quelli successivi. 
Scriveva allora Ermete Realacci, denunciando, tra l'altro, le lobbies dei costruttori di strade e dei cacciatori, la politica regionale latitante in materia ambientale insieme al  rischio che i mezzi di informazione non supportassero adeguatamente lo svolgimento del referendum: " E allora si vada al voto il 24 novembre, e ci si confonti davanti ai cittadini, sottoponendosi al loro giudizio."
Quell'invito suona oggi come una sentenza: il duplice fallimento - il quorum mancato e l'assenza del risultato abrogatorio di quella tornata referendaria -  ha sicuramente rappresentato la rinuncia da parte dell'elettorato ad esercitare la sovranità che gli compete ed ha sdoganato le scellerate politiche di svendita del territorio, delle risorse e dei diritti dei cittadini delle quali oggi vediamo i risultati ovunque in regione.
Nel Dossier on line, illuminante per la comprensione del contesto di allora, e di quanto accadde nelle legislature successive, è anche la lettura del testo firmato da Dario Predonzan e Corrado Altran. " La campagna referendaria promossa dagli ambientalisti si propone di intervenire, prima che sia troppo tardi, prima cioè che il malgoverno dell'ambiente da parte dei poteri locali distrugga o comprometta senza rimedio i grandi valori naturalistici e paesaggistici, ma anche storici e culturali, esistenti in Friuli Venezia Giulia."
Leggetevi il passaggio sulla devastazione delle campagne grazie al riordino fondiario, funzionale
" alla produzione di mais e soia, cioè al modello agricolo ad altissimo consumo di acqua, energia, fertilizzanti chimici e pesticidi". Riordino che ebbe costi altissimi ( la Regione finanziava fino al 98 per cento della spesa) e che esprimeva un modello agricolo sostenuto dalle lobbies costituite, ancor più che dagli agricoltori, dalle loro organizzazioni di categoria, consorzi di bonifica, ditte esecutrici dei lavori di spianamento e dei lavori per l'irrigazione, produttori di macchine agricole e chimica per l'agricoltura. Saltano fuori, con una drammaticità che gli oltre 25 anni trascorsi hanno potuto solo aggravare e rendere abbietta per dolo politico o, nel migliore dei casi, per l'incompetenza e la negligenza,  le problematiche di devastazione al torrente Arzino, delle attività estrattive, delle escavazioni nel letto del Tagliamento e altri fiumi friulani, della cementificazione dei corsi d'acqua, dell'edilizia commerciale e industriale di bassissimo livello qualitativo, del proliferare di poli turistici ispirati da colossali speculazioni, dell'inquinamento e del pericolo per la salute dei cittadini.

Passiamo con un salto al 2010. Seconda tornata. In quell'anno vennero presentate quattro richieste referendarie ( legittimamente articolate e adeguatamente firmate) per chiedere l'abrogazione delle indennità di fine mandato e dei vitalizi dei consiglieri ed assessori regionali. Vennero dichiarate inammissibili tutte e quattro, con articolate motivazioni, a partire, ad esempio,  da quella che la categoria dei lavoratori si è estesa ai titolari di cariche pubbliche e che i soldi loro versati a vario titolo costituiscono garanzia di indipendenza e di mantenimento di sicurezza giuridica.
Le richieste referendarie ultime respinte sono storia di oggi.
Tralasciamo il dibattito sul merito, e concentriamoci sul metodo.
La legge regionale che stabilisce i meccanismi di valutazione dei quesiti referendari va rivista nella seguente prospettiva: i diritti dei cittadini sono tutelati se la richiesta di referendum abrogativo di una norma regionale viene valutata dallo stesso organo legislativo che quella norma ha emanato e non invece da un organo terzo? E' evidente la necessità di modificare la legge regionale del 2003, riproducendo il modello statale che assicura che all' ammissibilità formale provveda l'Ufficio centrale per il referendum costituito, volta per volta, presso la Corte di Cassazione e che sull’ammissibilità sostanziale del quesito si pronunci la Corte Costituzionale. Intendiamo discuterne, arrivando se necessario anche alle competenti istituzioni dell'UE.



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